Il coniugio è aggravante speciale, che non ricorre in caso di convivenza

Il coniugio è aggravante speciale, che non ricorre in caso di convivenza
27 Gennaio 2017: Il coniugio è aggravante speciale, che non ricorre in caso di convivenza 27 Gennaio 2017

Con due diverse pronunce la Corte di Cassazione ha espresso questo orientamento. La Cassazione penale è stata recentemente chiamata a giudicare  due distinti episodi consumati entrambi in regime di convivenza. Il primo riguardava  la condanna di un uomo per maltrattamenti e per tentato omicidio ex artt. 56 e 575 c.p., aggravato dal rapporto di coniugio ex art. 577 c.p.. Il secondo, la condanna per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54, per aver versato alla ex compagna la sola somma di euro 150 mensili, salvo conguagli parziali successivi, per il mantenimento del figlio minorenne, a fronte dell’obbligo di corrispondere l’importo di euro 350 mensili stabilito dal Tribunale  per i Minorenni, e per aver omesso di versare la quota del 50% delle spese mediche straordinarie, anch’essa determinata dal precisato giudice. Ebbene, con la prima pronuncia  (Corte di Cassazione, sez. I Penale, n. 808/16; depositata il 10 gennaio 2017) la Suprema Corte non  ha riconosciuto  ai fini penali dell’applicazione dell’aggravante  ex art. 577 c.p., negando l’assimilazione della convivenza ai rapporti  matrimoniali, mentre con la seconda (Corte di Cassazione, sez. VI Penale, n. 2666/17; depositata il 19 gennaio 2017) ha stabilito che non rientra nella fattispecie penale di omesso versamento dell’assegno di mantenimento la condotta di chi, non unito da un vincolo matrimoniale, sia inadempiente  nei confronti dell’ex-convivente, perché questa si riferisce invece  nell’ipotesi di violazione degli obblighi familiari. La Cassazione penale appare così  poco disponibile a voler accogliere  l’evoluzione civilistica in materia di rilevanza dei rapporti more uxorio. L’essenza della motivazione può essere colta nella prima sentenza laddove si legge: “Questa Corte, che ha affermato con risalente decisione che l’aggravante del rapporto di coniugio riposa sul valore morale, sociale e giuridico della qualità di coniuge per la quantità dei doveri che comporta (Sez. 1, n. 1622 del 20/10/1971), ha successivamente rimarcato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 577, comma secondo, cod. pen., nella parte in cui prevede come aggravante la commissione del fatto contro il coniuge, sollevata sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto all’ex-coniuge e al convivente more uxorio, ritenendo non irrazionale il diverso trattamento normativo nei confronti del coniuge, tenuto conto della sussistenza del rapporto di coniugio e del carattere di tendenziale stabilità e riconoscibilità del vincolo coniugale (Sez. 1, n. 6037 del 22/02/1998)”.In coerenza con questa linea interpretativa  la Corte richiama alcune  sentenze risalenti nel tempo, tra le quali una che aveva escluso l’ incompatibilità tra la circostanza aggravante generica prevista dall’art. 61 n. 11 cod. pen. e quella specifica del rapporto di coniugio di cui all’art. 577 dello stesso codice (Sez. 1, n. 5378 del 15/02/1990), in quanto la prima  ha natura oggettiva e consiste in una relazione di fatto tra imputato e persona offesa che agevola la commissione del delitto, mentre il rapporto di coniugio è una circostanza speciale, di natura soggettiva, che ha il suo fondamento nel vincolo coniugale, unicamente preso in considerazione dal comma secondo dell’art. 577. In buona sostanza la Cassazione boccia l’apertura operata dalla Corte d’Appello di Roma nel riconoscere la configurazione del reato di tentato omicidio aggravato dall’art. 577 c.p.  non ritenendo condivisibile l’iter logico-argomentativo della sentenza impugnata, che richiamando l’evoluzione della interpretazione giurisprudenziale e dottrinale e del costume sociale, finisce con l’ampliare, in forza di una non consentita estensione analogica, il contenuto di una norma di diritto penale sostanziale, come tale, di stretta interpretazione. Anche la seconda pronuncia richiamata si attesta su questa linea: ritiene infatti la Corte che l’art. 4, comma 2, della legge 8 febbraio 2006 n. 54 abbia introdotto una distinzione tra diverse  ipotesi: precisamente, da un punto di vista sintattico, tali disposizioni sono da applicarsi  non “in caso di figli di genitori non coniugati” – come, invece, “in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio” –, ma  “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. Tale precisazione non deve intendersi come una formula verbale priva di possibili significati rilevanti. A parere della Corte, mentre nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla legge n. 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai “procedimenti relativi” agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla legge n. 54 del 2006, e che sono quelli civili di cui all’art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale. In buona sostanza la posizione del figlio di genitori non coniugati non viene lesa, ma il mancato versamento degli assegni familiari da parte del soggetto non coniugato  non integrerebbe il reato così previsto solo per coloro che  hanno effettuato lo scioglimento del loro  matrimonio, quanto piuttosto quello di violazione degli obblighi familiari.

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